ARCHIVIO STORICO BERGAMASCO

Conflitti locali, poteri centrali e cartografia
(quattro mappe della Valle Taleggio dei secoli XV e XVI)

Edizione promossa dal Centro Studi Archivio Bergamasco di Bergamo, Stampa Grafital (Torre Boldone) (Foto di Franco Carminati - Prida)

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In questa rivista storica si illustrano e si studiano le quattro mappe più antiche, scoperte dall'autore, che descrivono un territorio brembano, per l'esattezza la valle Taleggio con varie porzioni di regioni confinanti. Esse risalgono rispettivamente al 1456, al 1550, al 1583 e al 1594.

SOMMARIO
Una serie di secolari controversie per diritti di pascolo e di legna tra alcune comunità di alta montagna ha dato luogo alla produzione di una cospicua documentazione in cui, accanto a testimonianze scritte ricche di numerose notazioni di storia della cultura materiale e della mentalità, spiccano quattro mappe, una delle quali assegnabile alla prima metà del XV secolo. 

archivio storico


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E’ abbastanza noto che l’esatta definizione della linea di confine tra la Repubblica Veneta e il Ducato di Milano fu motivo di annose controversie tra i due governi. Diversi studiosi di storia locale hanno già trattato la questione, sia pure in modo non specifico, attingendo le notizie dai numerosi documenti conservati nella Biblioteca Civica “Angelo Mai” di Bergamo (Archivio Storico del Comune, fondo della Camera dei Confini), mentre piuttosto sporadico è stato sinora il ricorso a fonti provenienti dagli archivi centrali dei due stati.
Di notevole consistenza si dimostra la documentazione in materia di confini conservata nell’Archivio di Stato di Milano (1). Si tratta di centinaia di voluminose cartelle suddivise in due sezioni: parte antica e parte moderna. Mentre la parte moderna comprende documenti relativi alla prima metà del XIX secolo, o di poco successivi, l’antica è costituita dai materiali relativi a tutto il periodo precedente, abbracciando in pratica l’intera cronologia dell’antico Stato di Milano, risalendo, seppure in modo sporadico, sino alla nascita della Signoria viscontea.
I problemi trattati sono prevalentemente di natura istituzionale, come la definizione dei confini tra lo Stato di Milano e gli altri stati, a seguito di accordi internazionali o bilaterali quali, per non ricordare che i più noti, i trattati di Lodi (1454), di Cateau-Cambrèsis (1559) e di Mantova (1756). Sono numerose tuttavia anche le problematiche di carattere locale, sorte tra le comunità insediate in prossimità dei confini dello stato.
Nelle cartelle esaminate per questo studio, ad esempio, sono contenuti documenti relativi a dispute confinarie di vario genere tra lo Stato di Milano e i seguenti antichi stati: la Repubblica di Venezia, il Ducato di Mantova lungo il fiume Oglio, il Ducato di Parma, la Repubblica di Genova, il Ducato di Savoia lungo il fiume Sesia e le Leghe Grigie (Svizzera).
L’intero fondo archivistico è dotato di un inventario, redatto attorno alla metà dell’Ottocento, con numerazione progressiva delle cartelle e con un titoletto, riportato sulle stesse, che ne indica sommariamente il contenuto. Va precisato che per le cartelle esaminate (circa 40) il titoletto dell’inventario si è spesso rivelato poco rispondente al reale contenuto delle cartelle, essendosi rinvenuti documenti, sia pure in numero minore, relativi anche ad altre questioni, non solo a quella indicata dal titoletto. E’ in queste cartelle che si sono rinvenuti numerosi documenti, tra cui varie antiche mappe, che aprono nuove prospettive sulla storia del territorio bergamasco, con particolare riguardo alla Val Taleggio.
La maggior parte delle controversie riguarda infatti l’incerta linea di confine tra i due stati lungo il territorio della stessa valle. Motivo ricorrente in tali controversie era l’identificazione dei pascoli di pertinenza delle varie comunità. I pastori milanesi e bergamaschi si accusavano di aver fatto pascolare le mucche o le pecore in territori che erano al di fuori della giurisdizione dei rispettivi stati, invadendo gli uni i pascoli degli altri.
In altri casi le liti insorgevano perché si portavano le mandrie ad abbeverarsi alle sorgenti ritenute proprie da entrambe le parti. Altre volte le accuse riguardavano il taglio dei boschi per fare legname da opera o da ardere. Infine, più raramente, era lo sfalcio dei prati che poteva dar luogo a dispute, oppure la caccia alla lepre, che portava i cacciatori oltre il confine di stato, o ancora l’erezione di muri a secco per costruire recinti per gli animali in pascoli la cui giurisdizione era incerta.
Le località contestate erano il “Monte dè Piazzoli”, il “Grasello” e “li Canti” per quanto riguarda le controversie tra Vedeseta (in Val Taleggio, facente parte dello Stato milanese) e Fuipiano (in Valle Imagna, nello Stato veneto). Oggetto di rivendicazioni tra Vedeseta e Sottochiesa (Stato veneto) erano diversi fondi attorno alla chiesetta di S. Bartolomeo, a metà strada tra Olda e la contrada Reggetto di Vedeseta, vari appezzamenti boschivi alla testata della valletta di Sfrino, quasi in cima all’odierno Zucco di Pralongone, che separa le valli Taleggio e Imagna, e una parte del “Monte Concoli che è di grande estensione di pascolo”.
Questo monte era particolarmente ambito poiché sulle sue pendici erano già installate diverse baite dette “dè Concoli, delle Moje, di Campo Fiorito, di Cantello Moltoni e Cantello Fugascio”, ancora oggi rilevate dalle carte topografiche.

Tav. 0: Le principali località soggette alle controversie confinarie sovrapposte ad una moderna carta topografica.

Poiché si precisa che “il monte Concoli confina a mattina con Aral Olta (odierno Aralalta) e a mezzodì col Zucchetto de Maiesem (Zuc di Maiesimo)” è evidente che quel monte corrisponde a quello oggi indicato col nome Sodatura.
D’altra parte, il versante settentrionale del “monte Concoli” era lambito dal territorio del comune di Valtorta, per cui spesso Vedeseta doveva difendersi dalle usurpazioni dei “malghesi” sia di Valtorta che di Sottochiesa.
Valtorta infine era in lite anche con Cremeno (Val Sassina) per reciproci abusi nello sfruttamento dei vasti piani di “Bobio (Bobbio)”, i quali comprendevano, nell’accezione antica, anche la parte più alta dei pascoli di Ceresola.
Per lo sfruttamento di queste aree, già si erano avute discordie tra bergamaschi e milanesi nella seconda metà del XV secolo, allorché diversi abitanti di Sottochiesa e di Vedeseta si erano accusati reciprocamente del taglio abusivo di legne per ricavarne carbone lungo i versanti della valletta di Sfrino (2).  

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Nel corso del Cinquecento le “turbolenze” si erano poi aggravate perché dalle minacce si era passati a nuove iniziative come la “pignoratione” delle bestie trovate a pascolare al di fuori dei rispettivi confini, anche solo per pochi metri. Tuttavia al sequestro di una ventina di vacche effettuato dai milanesi a danno dei bergamaschi era seguita, qualche giorno dopo, una ritorsione da parte di questi ultimi. Il contenzioso raggiunse talvolta momenti di estrema tensione.
Risulta ad esempio che più di una volta un gruppo di quattro o cinque uomini armati, e con l’approvazione del vicario della valle, si recassero a sequestrare le bestie quando queste erano custodite solo da “tre done, un tosetto e una tosetta”, mentre i mariti e i padri erano a lavorare nei campi a fondovalle.
A queste azioni seguirono spesso delle razzie effettuate di notte nelle stalle situate lontano dai centri abitati, non solo per “compensare” le vacche o le pecore perdute, ma anche per punire gli avversari rubandone i muli e soprattutto i cavalli.
Risalgono a questo periodo numerosi strumenti, redatti da notai della Val Brembana per i bergamaschi e da notai della Val Sassina o del distretto di Lecco per i milanesi, con cui alcuni abitanti di Sottochiesa e di Vedeseta rivendicano i loro diritti di taglio della legna nella valletta di Sfrino, costante motivo di disputa. A sostegno delle proprie ragioni i contendenti esibirono documenti molto antichi, anche dei primi anni del XV secolo, nei quali si dichiarava che i loro antenati (le famiglie Quartironi, Amigoni, Rognoni e Arrigoni per la parte milanese, Bellaviti e Salvioni per la parte bergamasca) da sempre avevano avuto diritto di tagliar legna in quei luoghi (3).
Tra questi documenti è stata rinvenuta una mappa (non datata) che illustra il territorio della Val Taleggio: essa riporta tutte le contrade e i villaggi a nord e a sud del fiume Enna (“Lemna”), la valle di Sfrino, soggetto principale del disegno, e la valle di Salzana che divide nettamente il territorio di Vedeseta da quello di Sottochiesa, e due vallette secondarie, ma non meno importanti: l’attuale valle Asnina (“aqua Frasna”) e la valle di Bordesiglio (“Bordesei”) (Tav. 2).

Tav. 2: La Val Taleggio nella mappa (originale cm 88 x 59) databile attorno al 1550, relativa alla controversia tra Vedeseta e Sottochiesa: presso i principali nuclei abitati sono indicati i nomi delle famiglie più eminenti, che controllavano effettivamente il territorio disputato. La rappresentazione del castello di Pizzino è fantastica, si rifà al Castello Sforzesco di Milano.  (Archivio di Stato di Milano).

Viene rilevata anche la presenza di una chiesa in quasi tutti i centri abitati, tra cui spicca la chiesetta del Culmine di S. Pietro, nonché l’esistenza di ponti in pietra sui torrenti maggiori; notevole anche la rappresentazione del castello di Pizzino, senza dubbio fantasiosa, perché esemplata sull’immagine del Castello Sforzesco di Milano.
Il dato più interessante che emerge da questo disegno è tuttavia la totale mancanza di riferimenti ai confini politici dei due stati, milanese e veneto, segno che la controversia era sentita come fatto di portata esclusivamente locale; nel disegno infatti spiccano i nomi delle più antiche famiglie della Val Taleggio, riportati accanto ai nomi dei nuclei abitati di cui esse erano le rappresentanti più illustri, con l’intenzione di dimostrare che una certa zona del territorio rappresentato apparteneva al comune di Vedeseta o di Sottochiesa a seconda della provenienza delle famiglie che per prime ne avevano preso possesso.
La mappa esprime dunque una lite confinaria sorta tra due comuni, non tra due stati. Per questo l’intero territorio della Val Taleggio è indicato con un solo colore: il verde. Tutto ciò si accorda molto bene con l’insieme dei documenti in cui è inserita la mappa, e con il commento scritto al verso, nel quale si afferma che il disegno vuole rappresentare “la controversia di Vedeseta contro Sottochiesa”. Per questo riscontro la mappa può essere datata attorno al 1550.

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La controversia si protrasse tuttavia sino alla fine di quel secolo, quando un episodio apparentemente marginale suscitò grande impressione in tutta la Valle, tanto da giungere alle orecchie dello stesso doge di Venezia, tramite l’ambasciatore veneto a Milano.
Nell’agosto del 1579, a seguito di ennesime “usurpationi” avvenute presso la “Torre del Termine”, in cima alla valle di Sfrino, sullo spartiacque tra le valli Taleggio e Imagna, alcuni abitanti di Sottochiesa rubarono “di notte tempo” la chiave della porta della chiesetta di S. Bartolomeo in territorio milanese, impedendo così per parecchi giorni al curato di svolgere funzioni religiose per i fedeli di Vedeseta e della contrada Reggetto (4). Dopo altri tagli abusivi di legna nella valle di Sfrino, e dopo la demolizione di una stalla in muratura in località “Cantel Moltone”, sulle pendici del “Monte Concoli”, in pieno giorno, da parte di 36 uomini di Sottochiesa e Peghera a danno di un abitante di Vedeseta, nel 1582 i governi di Milano e Venezia decisero un incontro solenne di rappacificazione, articolato in varie fasi.
Dapprima si incaricarono due noti giuristi, il “signor dottor Giangiacomo Grumelli di Bergamo” per Venezia e il “signor dottor Marco Cigalino di Como” per Milano, di analizzare i principali strumenti antichi, a partire dall’epoca della Pace di Lodi, in possesso delle parti, allo scopo di trovare in essi la giusta definizione dei confini contestati.
Raggiunta la soluzione dopo parecchi mesi di studio, il 2 luglio 1583 fu promulgata una “sentenza arbitramentale”, ratificata dal senatore milanese “conte Pietro Martire Ponzone” e dal “podestà di Brescia Ottaviano Valiero” per Venezia. Tale sentenza stabiliva che i vecchi confini venissero in parte modificati, e che venissero posti, per la prima volta, dei cippi lungo la linea di confine in sostituzione delle antiche croci che delimitavano i territori comunali; una vasta “ala di bosco” a monte della contrada Lavina, verso Morterone, fu però lasciata indivisa (per motivi che non è stato possibile chiarire), per essere suddivisa in futuro: nel frattempo la legna proveniente da quel bosco avrebbe dovuto essere equamente divisa tra Vedeseta e Sottochiesa; chiudeva la sentenza la dichiarazione di soddisfazione di entrambe le parti.
La “piantazione dei termini” avvenne tra il 16 e il 28 settembre dello stesso anno, con l’intervento “dell’ingegnero Cristoforo Sorte” per la parte veneta e “dell’ingegnero Dominico d’Aquate” per la parte milanese, i quali si dedicarono a tracciare le linee di confine le più rette possibili, e ad individuare i luoghi più adatti all’impianto dei cippi. A tale scopo fu percorso tutto il territorio della Val Taleggio, e la nuova linea di confine tra i due stati fu descritta in una Relazione distribuita ai paesi interessati.   
Tutte queste operazioni si svolsero sotto la supervisione di due alti rappresentanti dei due governi, “il secretario Giovan Battista Patavino” per Venezia e “il Regio e Ducale secretario Facio Gallarano” per Milano, i quali controfirmarono tutti i documenti sopra descritti (5).
Tra questi documenti si trova anche una mappa che rappresenta il territorio della Valle e reca varie annotazioni di commento in latino, nella quale è possibile riscontrare molte corrispondenze con la “Relazione dela piantazione dei termini”. Una nota scritta tra la valletta di Sfrino e la località “Piazzoli”, sulle pendici del “monte Concoli”, richiama i gravi fatti del 1582, già riferiti. La stessa mano appose anche una notazione sul verso della mappa: “Vidiseta Vallis Taegiy loco descriptio, restituivit secretarius Facio”. Senza dubbio quindi la mappa fu eseguita nel 1583, in occasione della “piantazione dei termini” (6).
Non è stato possibile verificare se l’autore di questa mappa sia il famoso cartografo veneto Cristoforo Sorte. Considerando come si sono svolte le operazioni, è molto probabile che essa sia stata disegnata da Domenico d’Aquate, e che una copia analoga, eseguita dal Sorte, sia stata inviata a Venezia, ove potrebbe ancora trovarsi in qualche fondo del locale Archivio di Stato. Questo disegno è molto più dettagliato del precedente, da cui si distingue principalmente per la coscienza della divisione politica del territorio, evidenziata dalla colorazione: gialla per il territorio veneto, verde per quello milanese. Inoltre vi è un tentativo di rappresentare lo spazio a tre dimensioni, assumendo tre o quattro punti di vista differenti per le varie parti, sicchè la mappa non può essere colta con un solo colpo d’occhio seguendo una direzione privilegiata d’osservazione, ma deve essere esaminata in momenti successivi da tutti i lati per avere una visione completa del territorio rappresentato.
Il fiume Enna e i torrenti laterali, anche se resi ancora in modo schematico, presentano una collocazione topografica e un orientamento più rigorosi rispetto a quelli del disegno precedente. Notevole è inoltre la resa naturalistica del paesaggio, con numerosi alberi posti a significare i vasti boschi che caratterizzano la parte superiore del bacino dell’Enna e con i grandi strapiombi a valle dell’abitato di Morterone.
Si tratta dunque di una mappa che denota non solo maggiori capacità grafiche, ma anche una visione del territorio più evoluta rispetto alla precedente. (Tav. 3).

tavola 3

Tav. 3 : La Val Taleggio nella mappa (originale cm 50 x 44) del 1583, eseguita probabilmente dal cartografo milanese Domenico d’Aquate, in occasione della rappacificazione tra la Repubblica Veneta e il Ducato di Milano a seguito delle secolari controversie tra le comunità locali. In giallo il territorio veneto, in verde quello milanese. (Archivio di Stato di Milano).

Anche qui si ritrovano tutte le località già citate, tra le quali merita di essere ricordata “Pianchello”, su cui ci si soffermerà più oltre. Da notare è anche l’andamento della linea di confine tra i territori comunali di Vedeseta e Sottochiesa, che segue la valle di Sfrino e “la valesetta del Canino o del Canto” che scende dai pressi della chiesetta di S. Bartolomeo, per poi puntare verso i piani di Artavaggio e il “monte Concoli”.

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Neppure la solenne sentenza del 1583 valse tuttavia a por fine alle controversie: a causa dell’”ala di bosco” rimasta indivisa, altre ne scoppiarono, prima nel 1586, poi nel 1594. In questa occasione fu disegnata da un “Aragonus Aragonius” una terza mappa che rappresenta l’”ala di bosco” contestata. Essa non costituisce un ulteriore miglioramento delle tecniche di rappresentazione rispetto alla precedente né aggiunge nulla più di quanto già detto alla conoscenza della vicenda (7). (Tav. 4).

Tav. 4 : La vasta “ala di bosco” indivisa, situata tra Lavina e Morterone, sul versante meridionale della Val Taleggio, nella mappa (originale cm 66 x 46) del 1594, dovuta ad Aragonus Aragonius.  (Archivio di Stato di Milano).

Il conflitto si acutizzò ancora, coinvolgendo anche la comunità di Valtorta, che pure rivendicava diritti di pascolo sulle pendici del “monte Concoli”.
In questo clima di tensione, nel luglio del 1613, fu assalito da parecchi uomini armati di Valtorta un certo Orsino Domenico Calegari di Valnegra, che stava costruendo, con il figlio Michele di undici anni e due aiutanti, “una habitatione di tavole che chiamano baita o capana, sul monte Concoli” per conto di alcuni privati di Valtorta. Orsino Domenico riuscì a fuggire, ma il figlioletto e i due operai furono catturati, trattenuti per diversi giorni a Vedeseta e poi rinchiusi nel castello di Lecco.
Quasi contemporaneamente però anche i bergamaschi catturarono due di Vedeseta fuori dai loro confini e li fecero tradurre nella fortezza di Bergamo.
Nonostante che gli arrestati di Valtorta riuscissero dopo quattro mesi a fuggire dal carcere di Lecco con l’aiuto di due malviventi milanesi “che avevano rotto la prigione”, la liberazione dei due abitanti di Vedeseta avvenne solo alla fine del 1614, e la vicenda si concluse l’anno seguente con un rimborso dei danni arrecati. Durante questo periodo, nel corso delle iniziative atte a risolvere la questione, furono eseguite delle copie delle mappe già illustrate per una nuova verifica di cippi, confini e strade. Meno dettagliate e prive di molte annotazioni presenti sugli originali, queste mappe si trovano anch’esse inserite nello stesso corpo di documentazione delle precedenti (8).
Nonostante la questione fosse formalmente conclusa, la lunga carcerazione di quegli uomini aveva lasciato gli animi scossi e sospettosi. Nei primi anni del Seicento era anche corsa voce che i cippi confinari piantati nel 1583 fossero stati spostati di notte. Ancora dopo il 1615, e durante tutto il secolo, vi fu quindi un continuo crescendo di atti di vandalismo, ruberie di animali, minacce reciproche e “archibuggiate” a salve.
Nel 1732 tuttavia una “archibuggiata” ferì mortalmente certo Antonio Buttoni di Sottochiesa: dell’assassinio fu accusato nientemeno che uno dei consoli di Vedeseta, Benedetto Arrigoni, che fu bandito dallo stato. Nel frattempo vi fu un morto anche nelle dispute tra Valtorta e Cremeno. A seguito di questo episodio, una mattina quasi tutte le baite che si trovavano sul “monte Concoli” furono bruciate o rase al suolo.  
Per porre fine a questi conflitti, e per precisare la linea di confine tra lo Stato di Milano e la Repubblica Veneta lungo l’Adda e la pianura cremonese si giunse al trattato di Mantova del 16 agosto 1756. La linea di confine in Val Taleggio fu allora leggermente modificata, e si prescrisse di conficcare nel terreno cippi abbastanza grandi e ravvicinati, che recassero le sigle S.M. (Stato di Milano) da un lato e S.V. (Stato di Venezia) dall’altro, con l’anno di impianto. Il che avvenne nel corso del 1760: vari cippi di questo genere ancora conservati in Val Taleggio recano questa data.
Nel Trattato si stabilì pure che ogni due anni appositi incaricati di ciascun governo dovessero recarsi insieme a verificare l’esatta posizione dei cippi. Ma già al primo controllo ufficiale avvenuto nel 1764 (9) parecchi di quei “termini” in tutta la valle furono trovati spaccati e “spianati". Sicchè ben presto riprese la serie delle reciproche accuse e ritorsioni.

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Nel 1777 il governo di Milano, su esplicita richiesta di Maria Teresa d’Austria, decise di risolvere definitivamente la questione incaricando il “Consigliere e Delegato sopra dè Confini conte Roghendorf” di indagare giuridicamente, con il supporto di eventuali documenti antichi, quali fossero i giusti diritti delle popolazioni bergamasche e milanesi della valle.
Nel 1778 e negli anni seguenti il Roghendorf presentò varie e circostanziate relazioni al Governo di Milano, corredate di numerosi documenti risalenti anche al XV secolo, in parte originali, in parte copie autentiche.
In sintesi il Roghendorf identificava la causa di tutte le controversie nella innaturale spartizione del territorio della Val Taleggio tra la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano conseguente alla Pace di Lodi. Il capitolo XIII del trattato di pace assegnava infatti al duca di Milano, Francesco Sforza, la Valsassina, Lecco e i cosiddetti piani di Lecco fino a Brivio, mentre assegnava al doge di Venezia, Francesco Foscari, una parte (Val d’Erve) della Val S. Martino che prima di allora era milanese. Bergamo e le valli Imagna, Brembilla, Brembana e Averara, che per l’esito delle ultime operazioni militari erano controllate dalle truppe venete, furono attribuite definitivamente a Venezia (10).
 Incerta restava invece la posizione della Val Taleggio, che non era sotto il controllo diretto degli eserciti milanese o veneto, ma dominio di varie piccole signorie locali schierate alcune con Milano, altre con Venezia.
Questo stato di cose dava adito a rivendicazioni tanto da parte del duca di Milano, che considerava la valle legata alla Valsassina, già in mano milanese, quanto da parte di Venezia che la considerava dipendenza della città di Bergamo.
Per troncare ogni ulteriore disputa, le diplomazie suggerirono allora che la spartizione della Val Taleggio dovesse essere lasciata alla volontà di quei signori locali, rispecchiando l’estensione dei territori da loro effettivamente controllati.
Le famiglie degli Arrigoni, Quartironi, Amigoni e Rognoni che dominavano Vedeseta e le località vicine si sottomisero ‘spontaneamente’ al duca di Milano, offrendo i luoghi di Vedeseta, Lavina, Avolasio, Canto (i vasti pascoli a ovest della contrada Reggetto), Pratozunio, Pianchello, Almentarga (corrisponde alla contrada Reggetto (11)) e la chiesetta di S. Bartolomeo.
I Salvioni, i Bellaviti, i Rossi, i Codacini ed altre famiglie che controllavano Pizzino, Sottochiesa ed altre contrade, si consegnarono invece a Venezia. Questa decisione venne ratificata a Milano il 4 agosto 1456.
L’origine delle secolari “turbolenze” va ricercata nel fatto che le parti di territorio “cedute” dagli antichi signori agli stati regionali non erano state definite con precisione, e soprattutto non coincidevano con i limiti delle antiche giurisdizioni comunali dei paesi coinvolti nella spartizione, per cui strisce di territorio considerate da sempre spettanti al comune di Sottochiesa erano state incorporate nello Stato di Milano, mentre porzioni dell’antico comune di Vedeseta erano passate alla Repubblica Veneta.

Tra i documenti antichi originali recuperati dal conte Roghendorf relativi alla situazione fissata dalla Pace di Lodi, vi è una mappa, senza data, di gran lunga la più importante tra quelle qui descritte, sia come documento di storia politica che come pezzo cartografico. (Tav. 1).  

tavola 1

Tav. 1 : La Val Taleggio e i territori limitrofi nella mappa (originale cm 60 x 41) della metà del XV secolo. Il disegno pone in risalto la posizione dei tre principali castelli (Baiedo, Pizzino e Pianchello, presso Vedeseta) sedi di altrettante signorie locali.  (Archivio di Stato di Milano).

Essa non rappresenta gli effetti della Pace di Lodi (1454), bensì la situazione politica della Val Taleggio qualche anno prima di quella data, in quanto vi sono indicati i domini signorili delle famiglie locali. Per questi contenuti la mappa fu certamente un importante supporto alla definizione e alla ratifica delle condizioni della Pace di Lodi.
La struttura della raffigurazione prevede un cerchio centrale, significante il territorio di tutta la Val Taleggio, allora in condizioni di sostanziale neutralità politica rispetto a Milano e a Bergamo (e quindi a Venezia). Esso è partito dal “flumen Salzane”, cioè il torrente Salzana.
Nel semicerchio di sinistra si leggono le annotazioni “Taegium” (Taleggio), “Pra de Zugno” (Pratogiugno, toponimo ancora esistente), “Avolasco” (Avolasio), “Plancelum cum ulmis posterga, nunc derupatum” riferito al disegno di un castello (Pianello, con olmi tutt’attorno, ora semidistrutto), corrispondente alla località Pianchello rappresentata anche nelle altre mappe già illustrate); “hic morabant Arigoni, Quartironi, Amigoni et Rognoni” (qui rifugiatisi a seguito di sconfitte riportate negli scontri avvenuti verso la metà del Quattrocento); “terra Vedexita derupata” (cioè semidistrutta), “Canto” (Canto, i già citati pascoli presso Reggetto), “La Lavina” (Lavina, contrada di Vedeseta), “Olda que nunc tenet perventos” (Olda che ora ospita i nuovi venuti) forse nuovi gruppi della valle schieratisi con gli Sforza).
Nel semicerchio di destra si leggono invece: “Taegium”, “Pizinum” (Pizzino con la figura di un castello), “Furcula” (Forcola, toponimo ancora esistente), “hic morantur Salvioni et Belaviti”; “terra Subeclexia” (Sottochiesa), “Forzela Pegaria” (Forcella di Peghera, oggi detta di Bura).
All’esterno del cerchio sono indicate “Leuchum” (Lecco) e nella ‘punta’ ad esso corrispondente “Valis Mortaroni” (Valle di Mortarone) e “Brumanum” (rispettivamente al di qua e al di là della Costa del Pallio, alla testata della Valle Imagna) indicate come “territorii Leuci”; poi, nelle altre ‘punte’, procedendo in senso orario, “Valis Sasina” e “Rocha Baiadi” (la Val Sassina con la rocca di Baiedo), “Vallis Torta” (Valtorta), “Averaria” (la valle di Averara). Tutti questi territori sono contrassegnati con la sigla “M”, indicante la dipendenza dallo stato di Milano.
Continuando in senso orario troviamo “La Plaza” (Piazza Brembana), “Vallis Brambana”, “Valis Brambila” (Val Brembilla), “Vallis Imania”, tutti territori siglati con “P” indicante la giurisdizione bergamasca (“Pergamum”).
Infine in basso si leggono: “Valis sancti Martini” e “Pergamum”. Poco al di sotto del disegno rappresentante Lecco si trova una notazione molto importante ai fini della datazione della mappa: “Petunt (scil. Seniores Mediolani) Arigonos et Quartironos, valem Mortaroni et Brumanum debere sibi fore subditos”.
I piccoli rettangoli che compaiono nella parte inferiore del disegno con le sigle “M” e “P” su lati opposti indicano infine i limiti certi, in quel momento, delle giurisdizioni di Milano e di Bergamo su quei territori

BIBLIOGRAFIA        

1)  Archivio di Stato di Milano (ASM): Fondo Confini, Parte Antica, cartelle 239, 288, 289, 290. Questi documenti costituiscono il punto di vista milanese in tali dispute. Nella Biblioteca Civica ‘A. Mai’ di Bergamo esistono altri documenti e mappe che mostrano invece le tesi e i punti di vista bergamaschi. Questo materiale tuttavia è meno abbondante e soprattutto meno antico di quello milanese. Vedi al proposito nella Biblioteca citata: Fondo Manoscritti – Archivio della Camera dei Confini di Bergamo, ordinato da Giovanni Maironi da Ponte (‘Tomi’ relativi al Confin di Monte). Fondo Cartografia, varie mappe estratte dall’archivio ordinato dal Maironi da Ponte.
2)  ASM: Fondo Confini, Parte Antica, cartelle 239, 288. Vari atti notarili con data compresa tra il 1470 e il 1495.
3)  Ivi, cartella 239. Vari atti notarili con data compresa tra il 1510 e il 1560.
4)  Ivi, cartella 288.
5 )  Ivi, cartella 288. Questa complessa problematica occupa la gran parte della cartella.
6)  Ivi, cartelle 288, 289. Entrambe le cartelle contengono varie relazioni che fanno riferimento alla mappa disegnata durante la “piantazione dei termini”.
7)  Ivi, cartella 288.
8)  Ivi, cartella 289. La problematica illustrata occupa la gran parte di questa cartella. Per le copie delle mappe si vedano i documenti datati 1613. Tutte le mappe illustrate sinora sono state recentemente trasferite nel fondo cartografico miscellaneo: MMD, Piane. La mappa databile al 1550 circa è ora in MMD, Piane, cart. 20; le altre, originali e copie, in MMD, Piane, cart. 12. Purtroppo nella nuova collocazione, è presente il riferimento alla cartella di provenienza, ma non al documento o al carteggio in cui erano inserite originariamente. 
9)  ASM: Fondo Confini, Parte Antica, cartella 290.
10)  Copie autenticate di vari articoli della pace di Lodi sono presenti in tutte le cartelle indicate alla nota 1), ma anche in alcuni volumi dell’Archivio dei Confini di Bergamo ordinato dal Maironi e citato alla stessa nota.
11) Fondo Confini, Parte Antica, cartella 288. Nella dettagliata relazione del giurista Geronimo Magnacavallo di Como del 22-7-1578 si dice espressamente: “Almentarga ora Riceto” (Riceto è un nome arcaico della località Reggetto; altre espressioni antiche sono Rasetto e Rezetto).

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