VOCI DALL'INFERNO
Capitolo: Mi ha raccontato con grande pena di aver visto il lancio in alto di bimbi che venivano colpiti poi con spari di mitraglia ...                  

Voci dall'inferno - Centro Storico Culturale della Valle Brembana "Felice Riceputi" - pp 61-64 - Corponove BG - 2020


Vicende militari nella Seconda guerra mondiale di Giovanni Pesenti di Zogno

Giovanni Pesenti, conosciuto a Zogno col soprannome di “Gioanèla”, era nato il 24 luglio 1911 e prima che iniziasse la guerra gestiva in proprio un negozio di meccanica per cicli e motocicli alquanto noto in paese. Al momento dell’entrata in guerra dell’Italia (10 giugno 1940) mio padre inoltre era già sposato ed aveva una figlia di due anni. Per questi motivi fu chiamato alle armi in ritardo insieme alla classe di leva del 1912 e non del 1911 ma comunque abbastanza prima dell’inizio ufficiale delle ostilità. Infatti risulta inserito già ad aprile del 1940 nel 52° Reggimento Fanteria Alpi, inquadrato nella 22a Divisione di Fanteria “Cacciatori delle Alpi” di stanza in una caserma di Tarcento, 20 chilometri a nord di Udine in Friuli Venezia Giulia. Egli fu scelto e inviato in questa sede per “istruzione e preparazione alle armi” e alla fine assegnato al reparto “Genio Telegrafisti e Depositi n. 6” con l’obiettivo di sabotare le linee e le stazioni rice-trasmittenti telegrafiche dei nemici e sostituirle in modo più o meno stabile con linee e stazioni telegrafiche amiche.
Dopo l’armistizio farsa firmato con la Francia a Roma a Villa Incisa il 24 giugno 1940, cioè dopo pochi giorni dall’entrata in guerra dell’Italia, che prevedeva la smilitarizzazione del vecchio confine italo-francese e l’occupazione da parte italiana di una striscia di territorio francese profonda 50 chilometri, mio padre fu inviato su questo fronte che si estendeva dalla Savoia alle Alpi Marittime al seguito di truppe di fanteria leggera il cui scopo principale era quello di consolidare questa occupazione incontrando però non pochi attriti e ostilità da parte della popolazione locale. Egli rimase in questi luoghi fino al 16 ottobre 1940 quando fu congedato per qualche tempo soprattutto per il motivo che era stata decisa una smobilitazione parziale dell’esercito di terra per l’avvicinarsi dell’inverno il che dimostra, per inciso, che anche i comandi militari di livello medio-alto non sapevano dell’imminente inizio della Campagna di Grecia (28 ottobre 1940). Per il pessimo andamento dell’invasione italiana della Grecia iniziata dall’Albania, essendo stati spostati vari contingenti di fanteria pesante dal confine francese a quello greco-albanese, mio padre fu richiamato di nuovo a partire dal 26 febbraio 1941 sul fronte francese insieme ad altre truppe leggere in sostituzione di quelle trasferite in Albania rimanendo in territorio francese sino agli inizi del 1942 quando anch’egli fu trasferito direttamente in Grecia, senza ripassare da Zogno, con lo scopo di contribuire a stabilizzare e consolidare questa nuova occupazione installando vari tipi di infrastrutture non solo telegrafiche ma anche relative ai mezzi di trasporto quali officine per riparazione di veicoli militari, depositi per carburante, ponti stradali di servizio in ferro [1]. Queste operazioni, che riguardavano un vasto territorio attorno ad Atene, secondo mio padre furono programmate e decise sempre dai comandi intermedi dell’esercito tedesco, che aveva occupato rapidamente e realmente la Grecia, mentre le truppe italiane si limitarono ad eseguirle in modo totalmente subordinato. Durante l’intero anno 1942 in tali operazioni egli si fece notare e apprezzare da alcuni responsabili tedeschi poiché sapeva saldare i metalli con la fiamma ad ossigeno in pressione miscelato opportunamente con altri gas quali acetilene o metano o idrogeno. (foto-1)
Il mantenimento dell’occupazione italo-tedesca della Grecia si rivelò ben presto più difficile del previsto poiché quasi subito sorsero le prime “bande di ribelli (partigiani greci)” che si opposero in modo eroico agli occupanti stranieri e contro le quali combatterono soprattutto le truppe tedesche anche se supportate da quelle italiane ma a decidere e ad intraprendere le azioni di controguerriglia erano sempre i comandi tedeschi. In più di una occasione mio padre assistette come testimone alla ferocia e alla spietatezza delle truppe tedesche nelle azioni di rappresaglia contro le donne, i vecchi e i bambini dei villaggi sui monti che avevano dato supporto ai rivoltosi. Tra questi gesti sconsiderati mi ha raccontato con grande pena di aver visto purtroppo anche il lancio in alto di bimbi di due anni o meno che venivano poi colpiti e tagliati a metà con spari di mitraglia in una sorta di versione macabra del gioco del tiro al piccione. Nonostante queste dimostrazioni di ferocia e barbarie i partigiani greci nel corso del 1943 resero la vita assai difficile agli occupanti che furono costretti ad iniziare una lenta ma graduale ritirata verso i Balcani. Può essere utile ricordare per inciso che prima della fine di ottobre 1944 Atene e gran parte della Grecia furono liberate dai partigiani locali in collaborazione con contingenti dell’esercito britannico.
L’armistizio dell’8 settembre 1943 creò una situazione di grande incertezza. Per i primi tre mesi dopo questa data alcuni reparti del 52° Reggimento presenti sui monti della Grecia rimasero abbastanza compatti e fedeli all’esercito italiano ma quando verso la fine del 1943 si diffuse la notizia che questo reggimento in Italia era stato sciolto questi reparti si sbandarono in quanto una metà dei componenti decise di mantenere la divisa militare mentre l’altra metà di abbandonarla poichè il senso del dovere verso la patria si era indebolito e poiché era troppo forte il desiderio di ritornare a vivere in pace. Tutti insieme comunque decisero di risalire i Balcani cercando di rientrare a piedi e con mezzi di fortuna in Italia attraverso il Friuli, essendo il mare Adriatico diventato impraticabile alle navi italiane, anche se ciò significava scontrarsi probabilmente con “i ribelli del maresciallo Tito (partigiani slavi comunisti)”. (foto-2)
Ma questo tentativo di fuga dalla realtà, cioè dalla guerra, durò poco. In una località rimasta sconosciuta tra le attuali regioni della Macedonia e del Kosovo agli inizi del 1944 egli fu riconosciuto e fatto prigioniero dai Tedeschi pure in ritirata verso il nord dei Balcani. Caricato su un carro merci ferroviario insieme ad altri compagni, come se si trattasse di una bestia, iniziò un viaggio durato due settimane sempre rinchiuso nel vagone senza poter mai scendere e costretto, come gli altri compagni, a espletare i propri bisogni fisiologici all’interno del vagone mentre il treno viaggiava di notte a velocità limitata e a fari spenti e di giorno si fermava “acquattato nei boschi (protetto dalle boscaglie)” dei monti dei Balcani per evitare bombardamenti nemici. In tali condizioni giunse in una località rimasta ignota del circondario di Mauthausen in Austria, dove vi era uno dei campi nazisti di persecuzione e sterminio dei prigionieri. Dopo qualche tempo passato in questo luogo nell’angoscia di poter morire da un giorno all’altro fortuna volle che venisse riconosciuto da un capitano tedesco come “l’italiano che sapeva saldare i metalli” e che potesse grazie a ciò evitare una morte certa. Infatti fu selezionato e separato dai suoi compagni e fu inviato sempre su un carro merci ferroviario con un viaggio di altre due terribili settimane nel nord della Germania per l’esattezza nella città di Wuppertal nel distretto di Oberbarmen, non lontano dal confine con l’Olanda. In questa località dal primo settembre 1944 egli risulta lavorare nella ditta Hindrichs-Aufferman produttrice in origine di manufatti in metallo e di cromature ma riconvertita a supporto della produzione di armi [2]. Mio padre mi raccontò più volte che in questa industria lavorava circa 12 ore al giorno con accanto sempre un giovane soldato tedesco, poco più che ragazzo, col fucile spianato. Il cibo era costituito da bucce di patate bollite, non sempre ripulite dal terriccio, con un tozzo di pane secco e un bicchiere d’acqua. Questo lavoro forzato durò ininterrotto sino al 16 aprile 1945 quando la città di Wuppertal fu occupata dalle truppe americane provenienti dalla Normandia. Qualche tempo dopo la liberazione egli potè intraprendere, grazie ad alcune scorte di cibo in scatola fornite dagli Americani, il viaggio di ritorno a casa durato circa tre mesi fatto in compagnia di alcuni commilitoni con mezzi di fortuna e in gran parte a piedi essendo le strade, le ferrovie, i ponti e i traghetti sui grandi fiumi tedeschi totalmente distrutti. Giunto a Zogno a fine settembre 1945, quasi irriconoscibile per l’estrema magrezza, potè vedere per la prima volta dopo cinque anni una seconda figlia concepita nel breve periodo di congedo verso la fine del 1940. Dopo la guerra egli riuscì faticosamente ma gradualmente a rimettere in piedi l’officina meccanica abbinandola ad un distributore di benzina con l’aiuto di un fratello minore, acquisito come socio, e della figlia maggiore. Morì nel luglio 1966 per infarto.


  1. Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Nominativi dei militari della seconda guerra mondiale; Fondo Ruolo Matricolare del Distretto di Bergamo: Giovanni Pesenti fu Bernardo, classe 1911.
  2. Archivi del Centro Internazionale sulla persecuzione nazista, Fondo Internati Militari Italiani, con sede ad Arolsen in Germania.