LA FINE DEL SOGNO
Capitolo: Le Industrie e l'agricoltura della Valle Brembana negli anni della guerra.                  

La Valle Brembana nella Grande Guerra - Centro Storico Culturale della Valle Brembana "Felice Riceputi" - pp 203-222 - Corponove BG - 2015


La Manifattura di Valle Brembana - La Cartiera Cima - Il Linificio di Villa d'Almè - L'Acqua Minerale di San Pellegrino - La Fonte Bracca - Le Centrali Idroelettriche - La Ferrovia Elettrica di Valle Brembana - Attività diverse in valle - L'Agricoltura

Premessa

Nel noto volume di storia locale "Il Sogno Brembano" pubblicato nel 2006 è già stato illustrato come siano nate e si siano sviluppate le prime industrie moderne della nostra valle proprio agli inizi del 1900 e sono già state fornite, con uno sguardo che in quello scritto aveva un orizzonte più vasto, anche varie notizie relative alla loro evoluzione in anni alquanto successivi alla prima guerra mondiale. In questa sede si descriveranno invece fatti salienti indotti da questa guerra che hanno caratterizzato in modo peculiare l'andamento di queste aziende in generale penalizzandole sempre fortemente, a volte spingendole quasi sull'orlo della chiusura, e solo in pochi casi generando delle situazioni che sono state per così dire l'occasione per cambiare pelle e riconvertirsi a nuove attività più promettenti. Nel corso del presente scritto pertanto si terrà come contesto di riferimento principale quanto detto nella citata pubblicazione del 2006 con l'aggiunta di alcuni fatti peculiari riguardanti l'agricoltura, attività economica che rimase comunque fondamentale ancora per vario tempo nella nostra valle nonostante l'arrivo delle nuove industrie.

La Manifattura di Valle Brembana

Con le due guerre balcaniche del 1912 e del 1913, la prima contro la Turchia, la seconda contro la Bulgaria, la Serbia, piccolo principato autonomo nei Balcani, praticamente raddoppiò il suo territorio raggiungendo a sud i confini della Grecia ed interponendo la Bulgaria tra sé ed i residui europei della Turchia allora chiamata Impero Ottomano. L'influenza della Serbia nella penisola balcanica in quegli anni divenne assai grande, quale si conveniva ad una nazione che lottava dal 1217 per la sua indipendenza e che aveva raggiunto ormai i cinque milioni di abitanti. Ciò però contribuì a rinvigorire lo spirito di indipendenza di numerose altre popolazioni slave che soggiacevano all'Impero Austro-Ungarico il quale tollerava con sempre maggiore difficoltà questa crescente aspirazione alla libertà che rischiava di smembrare l'impero stesso. L'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando nel giugno del 1914 a Saraievo da parte di uno studente serbo fu la classica goccia che fa traboccare il vaso, il pretesto contingente che fece scoppiare la guerra secondo una successione di dichiarazioni ben nota.
Tra le cause economiche e politiche che concorsero allo scoppio di questa guerra, anche se con un grado di importanza secondario poiché contribuì ad alterare i rapporti di forza tra le principali potenze nell'Europa sud-orientale, vi fu la conquista da parte dell'Italia della Libia e delle isole del Dodecanneso a spese dell'Impero Ottomano, conquista che si svolse tra il 1911 e il 1912. Ed è proprio a partire da questo fatto storico che si registrano le prime conseguenze negative sullo sviluppo della prima industria brembana del cotone. Si tratta della Manifattura di Valle Brembana di Zogno che dopo la sua fondazione nel 1907 riuscì ad imporsi rapidamente non solo sui mercati italiani ma anche su quelli internazionali acquisendo nel 1910 una notevole commessa proprio dal governo turco che impegnò lo stabilimento per due anni. Lo scoppio della guerra tra l'Italia e l'Impero Ottomano impedì però alla Manifattura di recuperare l'ingente credito nonostante il suo proprietario in persona, Paolo Polli, si fosse recato più volte a Costantinopoli per esigere i pagamenti. Lo scoppio poco dopo del primo conflitto mondiale, trovandosi l'Italia ancora una volta contro l'Impero Ottomano, tolse ogni residua speranza di recuperare questi soldi se non in piccolissima parte il che condizionò in modo pesante per vari anni lo sviluppo di tale azienda [1]. (foto-1)
L'inizio della Grande Guerra nel 1914, anche se non coinvolse per 10 mesi l'Italia, ebbe subito ripercussioni negative generali sulle industrie del cotone lombarde, che erano le più avanzate, in quanto venne a mancare all'improvviso l'esportazione verso i paesi degli imperi centrali belligeranti. Questa esportazione costituiva anche per la Manifattura di Zogno un terzo circa della produzione. La crisi di sovrapproduzione causata da questa situazione portò ad un generale abbassamento del prezzo del cotone greggio e ciò indusse alcune aziende, tra cui la nostra, ad acquisire e prenotare comunque a titolo di sicurezza importanti scorte della materia prima nell'incertezza dell'evoluzione della guerra già in atto. Quando nel 1915 la guerra coinvolse anche l'Italia queste prenotazioni permisero alla Manifattura di Zogno di garantirsi un andamento della produzione e delle vendite, quasi solo nazionali, più che discreto sia per l'anno 1915 che per l'anno 1916 [2]. Ciò in parte fu reso possibile grazie ad alcune commesse richieste dal governo italiano a favore delle esigenze dell'esercito, per l'esattezza del Commissariato Militare di Venezia, essendo stata dichiarata nel frattempo la nostra azienda come Stabilimento Ausiliario di Stato. Se agli inizi questa condizione servì a procurare nuovo lavoro e fatturato, quando le sorti della guerra verso la fine del 1916 cominciarono a presentare un andamento assai sfavorevole per l'Italia queste commesse si rivelarono un pesante fardello poiché il Ministero della Guerra impose, per gli enormi debiti accumulati nel frattempo dallo stato italiano, un prezzo di vendita ribassato cioè inferiore ai costi di produzione e inoltre incominciò a ritardare i pagamenti a tal punto che alcuni di questi furono totalmente saldati solo vari anni dopo il termine del conflitto mondiale.
Un altro fatto aziendale abbastanza interessante su cui influì in modo negativo la guerra in corso fu l'acquisto nel 1916 da parte della Manifattura di alcuni immobili, tra cui una cartiera, nella contrada Ambria di Zogno insieme ai diritti di sfruttamento dell'acqua della roggia Acquada. L'obiettivo era di realizzare una centrale idroelettrica di dimensioni piccole-medie per fornire energia elettrica allo stabilimento. Come già descritto in precedenti pubblicazioni [3] questo progetto però fallì sia per considerazioni di convenienza economica sia per i grandi ostacoli interposti dalla guerra. Sempre alle difficili condizioni di vita generate dal conflitto è riconducibile il primo sciopero effettuato nella Manifattura di Zogno nel gennaio del 1917 quando i dipendenti, quasi tutte donne, per cinque giorni si rifiutarono di lavorare richiedendo sia un apprezzabile aumento di salario sia condizioni di lavoro più dignitose in quanto l'aumento vertiginoso dei prezzi dei generi di prima necessità e i ritmi di lavoro militareschi avevano reso impossibile la vita dentro e fuori lo stabilimento [4].
C'è da sottolineare infine, pur in mezzo a tante difficoltà, una scelta politica aziendale davvero meritevole, anche se in parte obbligata a livello nazionale, decisa dalla Manifattura di Zogno subito dopo l'inizio del conflitto in Italia consistente nella delibera ufficiale da parte del Consiglio di Amministrazione di corrispondere alle famiglie di tutti i suoi assistenti e operai chiamati in guerra i due terzi della paga se avevano famiglia, un terzo della paga se scapoli, e ciò per tutto il tempo in cui questi dipendenti sarebbero rimasti sotto le armi [5].
Come si può arguire da quanto scritto gli effetti della Grande Guerra su questa azienda furono abbastanza disastrosi e solo una politica di intelligente amministrazione accompagnata sempre dall'applicazione di novità tecniche e scientifiche agli impianti di produzione permise al fondatore Paolo Polli e poi al figlio Vincenzo di far riemergere questa azienda nel giro di qualche anno dopo il conflitto dal tunnel buio, lungo e pericoloso in cui era stata costretta.

La Cartiera Cima

Alcuni dipendenti in pensione della cartiera Cima di San Giovanni Bianco ricordano ancora oggi che accanto alle due turbine idroelettriche della storica società Riva, installate al momento della nascita della cartiera nel 1907 e contraddistinte dall'avere la classica targhetta "Riva", esisteva una terza turbina non prodotta dalla Riva ma da una società rimasta sconosciuta. Questa turbina non era nuova, ma usata, e proveniva quasi di certo da una delle due altre cartiere che la famiglia Cima possedeva nel territorio di Lecco. Questa terza turbina fu installata in realtà verso la fine del 1912 con lo scopo di fornire ulteriore movimento rotatorio ed ulteriore energia elettrica per far funzionare una seconda macchina continua per produrre la carta che fu installata nel corso del 1914 proprio alla vigilia del primo conflitto mondiale [6]. E' importante ricordare che la macchina continua è un insieme di una decina di parti o moduli di base, a loro volta costituiti da molte componenti, che devono essere assemblati in modo strettamente e rigidamente connesso tra di loro a tal punto da formare un unico grande macchinario produttivo che già in quei tempi era largo circa 5 metri e lungo oltre 60 metri. E' inutile ricordare che il forte investimento in denaro per introdurre questo secondo impianto a causa della guerra non potè essere ammortizzato nei tempi previsti, che di norma in questi casi erano di 5 o 6 anni, lasciando l'azienda pericolosamente impoverita di capitali liquidi per lungo tempo. Questa situazione fu di certo una delle cause per cui poco dopo la famiglia Cima decise di chiudere una delle due cartiere del lecchese, per l'esattezza quella di Acquate, favorendo lo stabilimento di San Giovanni Bianco. (foto-2, foto-3)
Negli anni di poco precedenti la guerra la cartiera Cima come materia prima usava vari tipi di stracci, in prevalenza di cotone perché più facili da selezionare e ripulire, frammisti a pezzi di carta usata che venivano spappolati e poi mescolati ad una pasta proveniente pure da una spappolatura o macinazione della paglia. L'aggiunta in misura limitata di componenti minerali finemente triturati come gesso e barite insieme ad alcuni liquidi chimici dopo altro rimescolamento formava la massa pastosa ma fluida con cui si alimentava la macchina continua. L'uso della cellulosa come materia prima in quegli anni era ancora agli inizi e non era presente in questa cartiera. La cellulosa infatti proveniva in grandissima parte dall'estero e a caro prezzo. A partire dalla fine del 1916 la crisi produttiva generale indotta dalla guerra fece mancare in misura sempre maggiore sia gli stracci di cotone, sia la carta riciclata sia addirittura la paglia che pure era prodotta prima in discrete quantità anche a livello provinciale e nazionale. La grave crisi fu superata dopo la guerra grazie all'iniziativa imprenditoriale del figlio dell'originario fondatore della cartiera, Francesco Cima, il quale essendo molto portato per la meccanica seppe prendere importanti decisioni non solo a livello amministrativo e contabile ma anche tecnico intervenendo anche di persona sugli impianti come testimonia la generazione più anziana dei dipendenti di questa azienda. A riprova delle capacità imprenditoriali di Francesco, anche se riferita ad un tempo un poco successivo rispetto al periodo preso in esame, va segnalata l'installazione nel 1929 di una terza macchina continua a San Giovanni Bianco per produrre carta pergamena detta anche pergamena artificiale.
C'è da ricordare infine anche l'iniziativa umanitaria durata per tutto il tempo del conflitto mondiale consistente nella "Commissione di soccorso pro famiglie militari richiamati alle armi" che Francesco Cima, come sindaco del comune di S. Gallo, presiedette per vario tempo essendone presidente e concedendo una sala all'interno della cartiera durante varie riunioni. In quella del 2 dicembre 1915 ad esempio fu deciso di aiutare le famiglie con padri o figli sotto le armi suddividendole in tre categorie in base a criteri non specificati ma intuibili assegnando, su proposta di Francesco Cima stesso, un sussidio di lire giornaliere 0,50 per la prima categoria, di lire 0,40 per la seconda e di lire 0,30 per la terza [7].

Il Linificio di Villa d'Almè

Questo linificio qualche anno prima del conflitto in esame contava oltre 1200 dipendenti di cui un quarto circa proveniva dalla bassa Valle Brembana. Era uno stabilimento modello, all'avanguardia non solo dal punto di vista tecnologico ma anche dal punto di vista organizzativo e sociale con le sue numerose iniziative umanitarie a favore dei dipendenti. Era sorto nella prima metà del 1800 per filare e tessere lino. Verso la fine del 1800 però durante la gestione Sessa-Brambilla era stata introdotta per la prima volta la lavorazione della canapa anche se questa attività era rimasta secondaria. Tuttavia nei primi anni del 1900 poiché appariva sempre più forte la concorrenza dei vari tessuti derivati dal cotone, anche a causa dei numerosi cotonifici sorti in breve tempo in tutta la provincia di Bergamo, sotto la direzione di Egildo Carugati si scelse di rafforzare ulteriormente la lavorazione della canapa pur lasciandola sempre secondaria a quella del lino. Mai alcuna decisione si rivelò più appropriata e strategica di questa. Infatti poco dopo, dalla fine del 1916 sino alla metà del 1918 nei momenti più sfavorevoli della guerra per l'Italia, a causa del blocco totale delle importazioni di lino greggio che proveniva solo dall'estero, questa azienda rischiò di chiudere. Furono chiesti allora dalla proprietà numerosi licenziamenti e ci furono forti proteste operaie. Solo la decisione di riconvertire totalmente gli impianti che filavano il lino in impianti adatti a lavorare la canapa, riconversione fatta in fretta e furia e in modo artigianale ma basata sull'esperienza già acquisita in un settore dello stabilimento, permise all'azienda di ritirare quasi tutte le richieste di licenziamento e di riprendere la produzione incentrata sulla canapa, una materia prima prodotta in discreta misura anche a livello nazionale. Alcune contemporanee commesse provenienti dall'esercito di terra e dalla marina italiana permisero poi al linificio di superare questa terribile crisi. Vi è da notare che questo momentaneo snaturamento delle caratteristiche originarie dell'azienda non fu un fatto del tutto negativo, cioè solo un costo, in quanto si può affermare che questa riconversione al trattamento della canapa, che durò alcuni anni, quasi di certo facilitò la fusione di questa azienda all'interno del notevole gruppo "Linificio e Canapificio Nazionale" avvenuta di fatto già nel 1919 e poi formalizzata nel 1920. Fu proprio questa fusione infatti ad offrire a questa azienda, in un tempo medio-lungo, il contesto produttivo, economico, commerciale e finanziario per altri anni di prosperità. (foto-4)
Gli anni immediatamente successivi al conflitto però, anche a causa del fatto che lo stato italiano in quel periodo era un cliente nè buon pagatore nè puntuale, furono ancora difficili. La direzione dell'azienda fu costretta a richiedere più volte una diminuzione sensibile dei salari scatenando ovviamente varie proteste degli operai sia nel 1921 che nel 1922. La lotta tra la proprietà e i dipendenti durò varie settimane e si concluse alla metà del 1922 con l'accettazione sofferta da parte degli operai di una diminuzione del salario anche se meno pesante di quella richiesta agli inizi dalla direzione. Solo dopo aver superato questo grande ostacolo di tipo economico, solo dopo aver completato la riconversione all'indietro degli impianti produttivi e grazie anche alla contemporanea riapertura e stabilizzazione dei mercati esteri del lino fu possibile per questa azienda riacquistare un assetto stabile, solido e proiettato nel futuro e riprendere l'immagine di successo di azienda manifatturiera del lino che l'aveva caratterizzata prima del conflitto. Nel 1923 essa registrava infatti già oltre 1400 dipendenti destinati a crescere ancor più negli anni seguenti [8].

L'Acqua Minerale di San Pellegrino

Quando fu fondata la Società Anonima delle Terme a San Pellegrino nel 1899, presieduta dall'avvocato milanese Cesare Mazzoni, l'obiettivo più importante era quello di intrattenere i ricchi ospiti dell'aristocrazia e dell'alta borghesia lombarda con attività ludiche, sportive e culturali durante il periodo della cura con le acque minerali. Per tale scopo tra il 1901 e il 1907 furono costruiti nell'ordine lo stabilimento dei bagni, la sala bibita presso la fonte, lo stabilimento di imbottigliamento, il Grand Hotel e infine il Casinò. All'inizio l'imbottigliamento dell'acqua minerale e la sua vendita non furono considerate attività trainanti ma complementari o integrative a quelle del centro termale. Ma quando a partire dal 1904 venne completato il nuovo stabilimento di imbottigliamento, su iniziativa dello stesso Mazzoni, ben presto ci si accorse della validità di questa idea. Le vecchie procedure manuali e artigianali nel riempire e confezionare le bottiglie furono sostituite da macchinari semi-automatici che permisero alla produzione di questo articolo di crescere in maniera grandiosa. Da un depliant pubblicitario presente su svariati numeri del periodico "La Voce del Brembo" [9] si rileva che tra il 1899, con imbottigliamento e confezionamento manuale, e la fine del 1912, con imbottigliamento e confezionamento semi-automatici consolidati, il numero di bottiglie vendute in un anno passò da 35.343 a 5.068.788 mentre in alcuni anni intermedi la vendita fu la seguente: nel 1904 si vendettero 801.280 bottiglie e nel 1909 4.208.474 bottiglie. Da ciò si deduce che lo sviluppo di questa attività dalla nascita dell'azienda alla vigilia in pratica della Grande Guerra fu esponenziale. (foto-5)
Purtroppo al momento non si conoscono dati altrettanto puntuali subito dopo il periodo bellico per fare confronti stringenti principalmente a causa del fatto che sino al 1925 le iscrizioni alla Camera di Commercio di Bergamo, che pure esisteva già da tempo, e la relativa consegna dei bilanci e di qualche dato riassuntivo da parte delle varie aziende artigianali e industriali non erano obbligatorie ma erano demandate alla discrezione dei proprietari. Si hanno dati relativi solo alla fine degli anni "20" del secolo scorso in cui si apprende che la Società delle Terme di San Pellegrino era in grado di produrre circa 5.000.000 di bottiglie all'anno il che comunque ci fa capire che questa azienda solo dopo oltre 10 anni dal termine del conflitto aveva ripreso i livelli di sviluppo di prima della guerra. La causa più importante del tracollo non fu, a differenza di altre aziende, la mancanza della materia prima, che la natura offriva sempre abbondante in loco, ma la repentina scomparsa dei consumatori dell'acqua minerale cioè dei turisti che si recavano a San Pellegrino e dei clienti che in vari alberghi e ristoranti della Lombardia e dell'Italia settentrionale potevano permettersi questo acquisto ritenuto all'epoca di lusso. La Società per la Ferrovia Elettrica di Valle Brembana nel suo bilancio relativo al 1915 [10] è tra le prime a denunciare i gravi disagi creati, sin dagli inizi, dalla guerra sia nei trasporti dei turisti e relativi bagagli diretti in valle per motivi di cure termali o di svago estivo sia nei trasporti di merci delle varie aziende brembane tra cui in particolare le bottiglie della Società delle Terme. Questa crisi si acuì ancor più col peggiorare dell'andamento del conflitto specie nell'anno 1917 quando furono chiuse a fine luglio con decreto governativo le case da gioco tra cui il Casinò di San Pellegrino. Questa chiusura accettata da tutti per motivi di decoro, dignità e rispetto verso i tanti combattenti caduti sino a quel momento segnò di fatto la fine del centro termale di San Pellegrino. Ciò non deve far pensare tuttavia che prima di questo momento, in quegli anni tristi e infelici, questa società fosse dedita a gestire il divertimento di pochi ricchi a vantaggio esclusivo dei propri interessi economici. Già a fine agosto del 1915 infatti la Società delle Terme si era fatta promotrice, insieme ad altri albergatori e proprietari privati di case, nel mettere a disposizione dell'autorità sanitaria militare numerosi locali in San Pellegrino per accogliere i feriti convalescenti previsti per quel periodo nel numero di circa 200 [11]. Come già descritto nella pubblicazione citata nella premessa si vuole ricordare che la ripresa di questa società fu resa possibile grazie all'imprenditore Ezio Granelli, milanese di adozione ma nativo di Volterra in Toscana [12], il quale, intuendo che la Grande Guerra aveva spazzato via il mondo dell'aristocrazia e dell'alta borghesia cambiando i gusti delle persone, promosse in modo industriale soltanto la vendita delle acque e affini in bottiglia andando incontro a un pubblico meno ricco ma assai più numeroso che pur non potendo permettersi il lusso di un soggiorno a San Pellegrino gradiva comunque avere sulla tavola di casa o di un ristorante di buon livello, ma non esclusivo, una bottiglia di acqua minerale accanto a quella del vino.

La Fonte Bracca

La crisi della Società Anonima della Fonte Termale Bracca causata dalla guerra è molto simile, e per certi versi superiore, a quella della Società delle Terme di San Pellegrino. Dopo l'evoluzione anche in questo caso esponenziale della vendita dell'acqua in bottiglia registrata dalla nascita dell'azienda sino alla vigilia circa della Grande Guerra, passando da 199.240 bottiglie nel 1907 a 1.669.684 bottiglie alla fine del 1911, lo scombussolamento del mercato prodotto dal conflitto fu enorme. Trattandosi di un genere di consumo non primario, anzi a quell'epoca considerato curativo e abbastanza di lusso, in quegli anni le vendite caddero verticalmente e la produzione verso la fine della guerra quasi si fermò del tutto. A ciò va aggiunto per questa azienda il fatto specifico che sull'onda dell'iniziale grandioso successo nelle vendite, la costruzione di un secondo stabilimento di imbottigliamento ad Ambria alla metà del 1909, presso la nuova stazione ferroviaria, dopo appena due anni scarsi dalla costruzione del primo stabilimento presso la fonte e la contemporanea realizzazione dell'Albergo Fonte Bracca, lasciò l'azienda stessa esposta a cospicui debiti in quanto gli investimenti fatti non ebbero il tempo per essere assorbiti o ammortizzati completamente per la troppa vicinanza dello scoppio della guerra. (foto-6) Ciò ebbe ripercussioni anche successive, dopo il termine del conflitto, poiché una delle banche ai cui finanziamenti era ricorsa la Fonte Bracca, la Banca Italiana di Sconto che aveva sostenuto fortemente la società Ansaldo per produrre materiale bellico, fu messa in liquidazione nel 1921 aggiungendo altri seri problemi finanziari alla nostra azienda e creando quasi di certo alcuni presupposti affinchè essa finisse, pochi anni dopo, nell'influenza negativa della concorrente Società delle Terme di San Pellegrino. Per tutti questi motivi anche la Fonte Bracca riuscì a toccare i livelli di produzione di prima della Grande Guerra solo circa 10 anni dopo il termine del conflitto con circa 3.000.000 di bottiglie annue. Tra i fattori che contribuirono al pessimo andamento della produzione durante gli anni della guerra viene segnalato in modo esplicito per questa società, ma il problema in realtà era comune anche alle altre aziende brembane, la partenza per il fronte di alcune maestranze, o quadri intermedi, che avevano il compito di gestire, controllare e realizzare nella pratica, con procedure organizzative umane e tecnologiche, gli obiettivi economici espressi dalla proprietà aziendale [13].

Le Centrali Idroelettriche

Poco prima della prima guerra mondiale l'Italia era al terzo posto nel mondo, dopo Stati Uniti e Canada, per potenza idroelettrica installata e la provincia di Bergamo era tra i primi posti rispetto all'Italia. Ciò dimostra quanto fosse stato precoce il processo di elettrificazione nel territorio bergamasco e in particolar modo in Valle Brembana. I produttori bergamaschi di energia elettrica in quel periodo erano però in prevalenza auto-produttori, vale a dire le varie aziende tessili quali cotonifici e linifici, le cartiere o i cementifici producevano energia elettrica a proprio uso e consumo destinando eventualmente un poco di sovrapproduzione all'illuminazione dei paesi in cui questi stabilimenti si trovavano. Le aziende bergamasche elettro-commerciali, vale a dire che producevano energia elettrica solo per venderla, erano invece poche e di limitate possibilità economiche. Lo scoppio della guerra provocò un aumento vertiginoso della richiesta di energia elettrica per soddisfare le esigenze delle industrie orientate a fornire i fabbisogni primari dell'esercito. Tra queste ricordiamo le industrie siderurgiche e metallurgiche quali la Franchi-Gregorini di Lovere che produceva per fusione pezzi di cannone e proiettili di grosso calibro e la tedesca Mannessman di Dalmine, pure impegnata nella produzione di armi ma più leggere, il cui personale e capitale straniero fu espulso e azzerato subito all'inizio della guerra per ovvi motivi e sostituito da personale italiano e da capitale fornito da banche italiane. Infine si deve ricordare la Fervet, situata poco a sud di Bergamo, che si riconvertì nella produzione fornendo vari materiali ferroviari di manutenzione o nuovi tra cui carri e vagoni ferroviari speciali adatti a trasportare ma anche a fare da base ad armi pesanti mobili [14].
Accanto alle industrie siderurgiche citate e a poche altre di grandi dimensioni quali la Falck di Sesto San Giovanni, le Acciaierie di Terni e altre situate a Genova e Napoli, destinate alla riparazione e costruzione di vari tipi di navi militari, si diffusero in modo indotto soprattutto in Italia settentrionale e centrale una miriade di aziende elettrochimiche e meccaniche, di norma piccole, che fornivano i componenti nuovi o riparati o le minuterie a questi gruppi aziendali maggiori. Più di tante parole può far capire lo sforzo enorme di risorse materiali ed umane espresso in questi anni dall'Italia da una statistica presente nel quindicinale "L'Alta Valle Brembana" del febbraio 1919 [15], ripresa dal "Giornale d'Italia", in cui si afferma che tutte le aziende grandi e piccole impegnate nella produzione di armi nel 1915 erano 250 con 140.000 operai impiegati, nel 1916 erano 1000 con 400.000 operai, alla fine del 1917 erano 2000 con 700.000 operai e poco prima dell'offensiva finale del 1918 erano 4000 con 900.000 operai. Durante questa offensiva l'intero paese era stato in grado di produrre ogni ora un cannone, 150 fucili, 530 proiettili da cannone e 160.000 cartucce da fucile. (foto-7)

L'energia elettrica indispensabile a far funzionare tutti questi macchinari produttivi proveniva in misura limitata anche dalle centrali idroelettriche brembane, in particolare dalle aziende elettro-commerciali quali la Conti a Zogno, la Orobia con i suoi impianti situati tra San Giovanni Bianco e la Valle Taleggio e con quello di San Pellegrino e la Schuckert con l'impianto di Clanezzo. E' utile ricordare anche l'apporto, sempre limitato, della Società Idroelettrica della Valle Imagna Inferiore con il suo impianto pure presso Clanezzo e la Società Elettrica Prealpina con la centrale di Locatello in alta Valle Imagna. Tutte queste centrali non subirono alcun potenziamento in quegli anni ma continuarono a produrre in modo programmato e intenso senza particolari contraccolpi. Ovviamente la maggior parte dell'energia elettrica richiesta dal paese fu fornita dalle grandi centrali già presenti in Piemonte, da alcune in Toscana e da altre poste nella parte della Lombardia più lontana dalla linea del fronte principale oltre che da alcune nuove centrali costruite o terminate in quegli anni in quelle zone più sicure come risulta anche dai libri contabili della storica società delle turbine "Riva" [16]. E' abbastanza importante anche segnalare che per risparmiare e destinare la maggior parte possibile di energia elettrica alle industrie impegnate direttamente nei rifornimenti all'esercito il governo italiano già il 16 gennaio 1916 emise un'ordinanza con cui imponeva di ridurre della metà il consumo normale di energia per l'illuminazione pubblica e il 10 ottobre 1916 un'altra con cui imponeva di ridurre ancor più il medesimo consumo e di ridurlo a un quarto del normale dopo le ore 23,30 per introdurre poi l'uso dell'ora legale per tutti dal primo aprile al 30 settembre 1917 [17]. ( foto-8)

La Ferrovia Elettrica di Valle Brembana

Anche la Società per la Ferrovia Elettrica di Valle Brembana subì importanti contraccolpi negli anni della guerra. Oltre alla scomparsa dei turisti, lenta nel primo anno del conflitto ma assai rapida in seguito come già anticipato poco prima e che portò ad una sensibile riduzione delle corse dei treni, si deve aggiungere la difficoltà del trasporto nelle merci che durante quegli anni veniva ancora effettuato, per motivi di maggiore potenza, con locomotive a vapore vale a dire con utilizzo del carbone che divenne ben presto materia prima assai rara per i suoi crescenti costi arrivando dall'estero. I trasporti di merci furono poi scombussolati dalle imposizioni del Ministero della Difesa che costrinse la società ad impegnare numerose corse dei treni per portare in alta valle rifornimenti a contingenti militari impegnati in opere di difesa ai confini con la Valtellina e al contrario a portare dall'alta valle a Bergamo discreti quantitativi di legname destinati a supportare in varie forme l'esercito in guerra [18]. Proprio all'inizio della guerra inoltre la società sperimentò il dimensionamento non del tutto efficace ed efficiente della propria centrale idroelettrica rispetto ai bisogni di energia elettrica dei treni passeggeri in quanto si segnalarono sprechi importanti di energia. Questo aggiornamento tecnico, che si traduceva in minori costi di esercizio, dovette essere rimandato però a dopo il conflitto [19].

Attività diverse in valle

La cementeria degli ingegneri Radici e Previtali, sorta tra il 1905 e il 1906 a Villa d'Almè, conobbe un importante sviluppo arrivando a superare attorno al 1910 i 200 dipendenti. Ma proprio nel 1911 essa fu acquistata dal colosso bergamasco del settore, la Società Anonima Italiana dei Cementi, la futura Italcementi, la quale nei primi anni continuò a favorirne lo sviluppo con l'aggiunta di due forni. In seguito tuttavia a causa di un cambio delle politiche aziendali, indotte in buona misura dallo sconvolgimento del mercato causato dalla guerra, questa unità produttiva fu progressivamente abbandonata e chiusa [20].
L'antico setificio Beaux di San Pellegrino, in gravissima crisi nei primi anni del 1900, fu venduto nel 1906 alla famiglia Legler proprietaria dell'omonimo e grandioso cotonificio situato a Ponte S. Pietro. I Legler convertirono questo stabilimento in un iutificio col nome di Iutificio Bergamasco al servizio di varie esigenze di confezionamento del cotonificio stesso. Questa fabbrica così riconvertita si mantenne in buone condizioni sino al 1913 allorchè fu ceduta ad un gruppo specializzato nel settore diventando Iutificio Nazionale e in questa veste soddisfece alcune limitate commesse dell'esercito in quanto la iuta si prestava bene a produrre tessuti per sacchi e per tende e fili grezzi per realizzare vari tipi di cordami e tappeti. Dopo la guerra in oggetto questo stabilimento si specializzò soprattutto nella produzione di sacchi e affini senza sviluppi eclatanti trattandosi di un mercato abbastanza ristretto [21].
Dopo circa dieci anni di relativo successo nella coltivazione dei minerali di zinco presso il monte Arera, a Zambla, Parre e in territorio di Dossena, attorno ai monti Vaccareggio e Paglio, la società toscana Modigliani a causa anche del crollo dei prezzi dello zinco a livello internazionale nel 1884 fallì e venne sostituita dalla English Crown Spelter Company di Londra che già operava nella Valle del Riso in Valle Seriana. Questa azienda a sua volta a partire dal 1896 concentrò di più le sue attività in Valle Seriana cedendo quelle situate attorno a Dossena e a monte di San Pietro d'Orzio a due società di origine belga: l'Austro-Belga e la Vieille Montagne. La prima società poco dopo aprì nuove miniere anche a Cespedosio in comune di Camerata Cornello e l'attività mineraria legata allo zinco proseguì senza eccessivi intoppi fino all'inizio della Grande Guerra quando per ovvi motivi politici fu estromesso il personale dirigente e il capitale austriaco non senza contraccolpi a livello finanziario per l'azienda. La Vieille Montagne agli inizi del 1900 acquisì invece alcune miniere in Valle del Riso e sul monte Arera lasciando in secondo ordine alcune sue miniere del monte Vaccareggio sopra Dossena. Con lo scoppio del conflitto questa società fu fortemente penalizzata in quanto l'occupazione del Belgio da parte della Germania sin dal 1914 impedì di trasportare i minerali di zinco, pre-trattati in Italia con una rapida calcinazione, nelle fonderie belghe passando per Genova. Questa società pertanto fu costretta a fondere il minerale nel sud della Francia a Viviers. Dopo la guerra queste società furono rilevate da aziende italiane che si succedettero in gran numero ma con scarso successo per l'esaurimento dei minerali di zinco per cui già pochi anni dopo queste furono costrette a riadattarsi alla coltivazione di rocce non più metallifere come marmi o fluorite. La coltivazione dello zinco comunque anche quando era gestita dai capitali stranieri indicati non fu mai molto remunerativa in quanto gli operai italiani svolgevano lavori assai poveri di contenuto tecnologico [22].

L'Agricoltura

Nonostante l'arrivo di nuove importanti industrie in valle la struttura economica della maggior parte delle famiglie brembane continuava a rimanere agricola in quanto il limitato stipendio aziendale, percepito per lo più da donne, serviva a completare e a rendere un poco più sicuro il reddito degli uomini impegnati in prevalenza nei campi e nell'allevamento, a livello famigliare, di qualche capo di bestiame. Lo scoppio della guerra ebbe perciò un impatto ancor più devastante per l'agricoltura in quanto vennero sottratte le forze motrici a queste antichissime attività. Nell'arco di circa tre anni infatti quasi tutti gli uomini di età compresa tra i 19 e i 45 anni, cioè gli uomini più adatti a svolgere più intensamente e con maggior profitto le attività agricole, vennero chiamati alle armi lasciando quasi completamente sguarnito questo settore. E' abbastanza impressionante leggere sui periodici "La Voce del Brembo" e "L'Alta Valle Brembana", durante gli anni 1915, 1916 e 1917, la regolarità quasi settimanale con cui molti giovani e meno giovani furono costretti a partire per il fronte. Basti citare tra gli esempi più significativi il fatto che già prima del 13 giugno 1915, cioè 20 giorni dopo l'inizio della guerra, il piccolo paese di Olmo aveva fornito più di 100 soldati all'esercito! [23]
L'agricoltura comunque fu impoverita non solo nelle sue forze umane fondamentali ma anche nelle risorse materiali di vario genere accumulate in decenni di duro lavoro anche da generazioni precedenti. Si ha notizia ad esempio che in base ad un decreto del Ministero della Guerra dell'11 luglio 1915 fu deciso che l'approvvigionamento della carne per l'esercito non doveva essere più fatto attraverso i soliti negozianti grossisti ma attraverso la requisizione diretta dei bovini, opportunamente selezionati e marcati, presso le famiglie di contadini che ne possedevano. In cambio di un assai modesto compenso il bestiame requisito fu tantissimo ad eccezione degli individui giovani o di peso inferiore a 350 chilogrammi e ad eccezione delle femmine migliori fattrici o migliori produttrici di latte. Due testimonianze abbastanza rare di ciò, in quanto gli organi di stampa tendevano a non pubblicizzare molto queste operazioni, si hanno già il 19 settembre 1915 con una requisizione di 28 bovini a Zogno e il 17 ottobre 1915 quando furono consegnati da Averara e portati alla stazione ferroviaria di San Giovanni Bianco 11 dei 20 bovini selezionati dall'apposita commissione [24]. Naturalmente ciò avveniva non senza lamentele e contrasti da parte dei contadini a tal punto che agli inizi del 1917 ci furono varie riunioni di tutti i comuni dell'alta valle a Piazza Brembana per muovere vibrate proteste contro i forti prelievi di bestiame avvenuti nell'ultimo anno, che avevano ridotto alla fame i residenti, e con la pressante richiesta di attenuare i gravi danni all'agricoltura derivati da questa vera e propria incetta. La risposta tuttavia da parte delle autorità militari, nell'agosto 1917, lasciò ben poche speranze sul cambiamento di tali operazioni visto l'andamento della guerra [25]. Le proteste dei contadini furono particolarmente forti anche perché nel frattempo alle requisizioni dei bovini si erano aggiunte quelle dei cavalli, dei muli e dei fieni [26]. Anche la popolazione ovina, per altro meno numerosa di quella bovina in valle, fu destinata in parte a scopi alimentari. La conseguenza di ciò fu che l'utilizzo della lana che le donne rimaste a casa filavano e lavoravano gratuitamente per realizzare maglie, mutande, calze, ginocchiere e passamontagna per i soldati che combattevano sui monti in mezzo alla neve, dopo un anno di guerra, era divenuto impossibile essendo la lana grezza diventata introvabile. Anche il riciclaggio di vecchi stracci di lana non migliorò di molto la situazione poiché presto questi rimasero gli unici indumenti disponibili per chi era rimasto a casa [27].
Dopo un anno dall'inizio della guerra la scarsità di carne bovina indusse il Ministero della Guerra a promuovere, attraverso conferenze e mostre con apposite commissioni provinciali, allevamenti di conigli e di volatili e la produzione di uova non solo per gli abitanti rimasti a casa ma anche per l'esercito. Furono diffuse le voci di esperti secondo cui queste carni e le uova avevano più potere nutritivo della carne bovina e che già esse erano consumate in Francia, in Inghilterra, in Belgio e persino nel paese nemico: l'Impero Austro-Ungarico. Anche questo tipo di carne e le stesse uova tuttavia poco dopo furono ugualmente razionate per tutti i civili rimasti a casa con pesanti limiti alla compravendita tra privati a causa della scarsità e per la precedenza data all'esercito [28].
Un'altra risorsa nel frattempo duramente colpita dalla guerra fu il legname. Già nell'ottobre 1915 ad esempio l'apposita commissione aveva selezionato alberi di alto fusto, specialmente di frassino, ad Averara mentre si hanno varie notizie in tempi successivi di trasporti di tronchi di noce, abete, larice e frassino da vari paesi dell'alta valle sino alla stazione ferroviaria di San Giovanni Bianco diretti a Bergamo e in altri luoghi al servizio dell'industria della guerra [29]. (foto-9 , foto-10 )
Agli inizi del terzo anno del conflitto si arrivò a requisire anche le quantità di farina di grano, di granoturco, di riso e risone superiori in ogni famiglia a 25 chilogrammi e a razionare sia il pane scuro o integrale che lo zucchero da canna come risulta a Zogno [30]. La scarsità di farine e di pane in generale spinse a coltivare di più le patate dotate di un discreto potere nutritivo anche per il fatto che esse avevano bisogno di meno concime animale ormai scarsissimo. Poco dopo però fu proibita anche l'esportazione delle patate dalla provincia e ciò fu un duro colpo specie per i paesi dell'alta valle che scambiavano questo prodotto, che cresce anche in climi freschi, con alcune quantità di farine provenienti dalla pianura. Nel settembre del 1917 si arrivò infine al razionamento rigoroso di tutti i generi di prima necessità. Nell'ottobre del 1917 si requisì e si razionò anche l'avena, alimento importante per i quadrupedi, lasciandone modeste quantità solo al servizio di alcuni trasporti speciali di viaggiatori e soprattutto per i trasporti di generi alimentari e di forniture per l'esercito tra cui vi erano anche quantitativi di rottami di ferro, pure requisiti, per l'industria delle armi [31].
Al termine del conflitto si registrarono oltre 1100 caduti in Valle Brembana ed un numero non molto inferiore di invalidi permanenti gravi. Fa abbastanza impressione leggere nelle cronache dei vari paesi dei periodici "Alta Valle Brembana" e "La Voce del Brembo" le tipologie di invalidità subite per alcune delle quali per questi sfortunati sarebbe stato preferibile forse la morte. Risulta ad esempio oltre all'amputazione di una o due gambe, che fu il caso più frequente, l'amputazione di un braccio o di una mano e a volte di due mani, il ferimento grave alla colonna vertebrale con conseguente impossibilità a camminare anche se le gambe erano illese, le ferite lacero-contuse alla faccia ricomposte chirurgicamente in modo sommario, il congelamento di uno o due piedi, la cecità ad uno o a entrambi gli occhi, la rottura traumatica dei timpani con conseguente sordità, la perdita della parola per i grandi spaventi o traumi subiti, l'impazzimento per aver sfiorato la propria morte o aver visto quella effettiva dei compagni al fronte [32].
In grandissima parte questi sfortunati erano contadini. Dopo il conflitto le strutture industriali ed agricole così fortemente lacerate lasciarono la società brembana e in generale quella italiana ancora per alcuni anni in gravissima penuria dei generi di prima necessità, complice anche l'aumento dei loro prezzi di oltre quattro volte rispetto a prima del conflitto, creando condizioni di vita difficilissime, quasi insostenibili, che l'uomo di oggi così abituato alle tante, forse troppe, comodità della vita moderna può solo vagamente immaginare e alle quali, se dovesse essere sottoposto realmente, quasi di certo soccomberebbe. Queste condizioni materiali di estrema povertà e miseria, diffuse ovunque, generarono fortissimi scontenti e ribellioni sociali creando i presupposti per la nascita del Fascismo.


  1. Archivio Storico Museale della Manifattura di Valle Brembana di Zogno.
  2. Il Bilancio 1915 della Manifattura di Valle Brembana di Zogno da “La Voce del Brembo” del    25/03/1916. Il Bilancio 1916 della Manifattura di Valle Brembana di Zogno da “La Voce” del 25/03/1917.
  3. Giuseppe Pesenti, Le Rogge di Zogno, Ed. Archivio Storico di San Lorenzo, Zogno 1997. Vedi anche il volume Il Sogno Brembano, Ed. Centro Storico Culturale Valle Brembana, Bergamo, 2006; pag. 163.
  4. Le operaie della Manifattura in sciopero da “La Voce” del 14/01/1917; Lo sciopero della Manifattura composto da “La Voce” del 28/01/1917.
  5. Cronaca Valligiana, Zogno, da “La Voce” del 6/06/1915.
  6. Storia Economica e Sociale di Bergamo – Fra Ottocento e Novecento; Bergamo, 1993-2003.
  7. Archivio Storico Comunale di San Giovanni Bianco, Delibere del soppresso comune di San Gallo.
  8. Linificio e Canapificio Nazionale, 1873 – 1923, Milano.   Antonio Giuliani, Villa d’Almè e Bruntino – Tempi, Vicende, Costumi; Villa d’Almè 1980.
  9. Settore pubblicitario di molti numeri de “La Voce” degli anni 1913 e 1914.
  10. Il Bilancio 1915 della Società per la Ferrovia Elettrica di Valle Brembana da “La Voce” del 25/03/1916.
  11. Cronaca Valligiana : Soldati feriti a San Pellegrino da “La Voce” del 22/08/1915.
  12. Archivio della Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Bergamo, fascicolo di iscrizione n. 486, atto del 09/04/1956 e altri di poco anteriori.
  13. Tarcisio Bottani, Francesco Dorino Corna, Claudio Brissoni: Bracca, la storia, la fonte; Ferrari Editrice 1999 (vedi in particolare la ricerca di Francesco Dorino Corna). Società Anonima Fonte Bracca (svalutazione del capitale sociale) da “La Voce” del 28/11/1915.
  14. Storia Economica e Sociale di Bergamo – Fra Ottocento e Novecento; Bergamo, 1993-2003.
  15. L’Alta Valle Brembana, Bollettino Notiziario quindicinale delle tre Vicarie, 9/02/1919 : I proiettili che abbiamo prodotto.
  16. Guido Ucelli, La Riva in Cento anni di lavoro, 1861 – 1961, Milano. Vedi in particolare gli esercizi contabili degli anni 1915, 1916, 1917, 1918.
  17. Illuminazione ed esercizi pubblici da “La Voce” del 5/11/1916. Anticipo dell’ora legale da “La Voce” del 25/03/1917.
  18. Il Sogno Brembano, capitolo La Ferrovia di Valle Brembana di Felice Riceputi; Ed. Centro Storico Culturale Valle Brembana, Bergamo, 2006. Vedi in particolare per gli anni in oggetto a pag. 65 e ss.
  19. Il Prolungamento della Ferrovia Valle Brembana: Impianto Idraulico da “La Voce” del 21/03/1915.
  20. Antonio Giuliani, Villa d’Almè e Bruntino – Tempi, Vicende, Costumi; Villa d’Almè 1980. Storia Economica e Sociale di Bergamo – Fra Ottocento e Novecento; Bergamo, 1993-2003.
  21. G. Pietro Galizzi, San Pellegrino Terme e la Valle Brembana, San Pellegrino 1971. Storia Economica e Sociale di Bergamo – Fra Ottocento e Novecento; Bergamo, 1993-2003.
  22. Tarcisio Bottani, Flavio Jadoul, Wanda Taufer: Le Miniere di Dossena, Ed. Comune di Dossena e Grafica & Arte, 2008.
  23. Cronaca Valligiana : Olmo al Brembo da “La Voce” del 13/06/1915.
  24. La requisizione dei bovini da “La Voce” del 8/08/1915. Zogno: incetta dei bovini per l’approvvigionamento del Regio Esercito da “La Voce” del 19/09/1915. L’Alta Valle Brembana, bollettino citato del 24/10/1915: Cronaca dell’alta Valle Brembana, Averara.
  25. Piazza Brembana, per l’incetta dei bovini da “La Voce” del 9/09/1917. L’Alta Valle Brembana, bollettino citato del 26/08/1917: A proposito d’incetta bovini.
  26. I prezzi stabiliti dal Ministero per il fieno, l’avena e la legna da “La Voce” del 19/09/1915. Per una prossima precettazione di cavalli e muli da “La Voce” del 5/11/1916. L’esercito abbisogna di fieno da “La Voce” del 25/02/1917. L’Alta Valle Brembana, bollettino citato del 8/04/1917: Cronaca dell’alta Valle Brembana, Averara. Vari articoli sulla requisizione di quadrupedi e fieni da “La Voce” del 4/06/1917.
  27. Lana ai soldati da “La Voce” del 15/08/1915. Analogo argomento nei numeri del 22/08/1915, 29/08/1915 e 12/09/1915 dello stesso periodico. Donne, filate da “La Voce” del 24/10/1915. Lana per i soldati, l’esempio di Zogno da “La Voce” del 28/11/1915. Si domanda ancora lana per i soldati da “La Voce” del 24/09/1916. Cronaca valligiana, Zogno : Il comitato Pro Lana ai Soldati all’opera da “La Voce” del 8/10/1916.
  28. Il Vitello del Povero da “La Voce” del 28/11/1915. Per disciplinare il consumo della carne da “La Voce” del 14/01/1917. L’Alta Valle Brembana, bollettino citato del 14/01/1917: Due giorni di Magro. La disciplina del commercio delle uova da “La Voce” del 15/07/1917.
  29. L’Alta Valle Brembana, bollettino citato del 24/10/1915: Cronaca dell’alta Valle Brembana, Averara. L’Alta Valle Brembana, bollettino citato del 8/04/1917: Cronaca dell’alta Valle Brembana, Averara.
  30. Il Pane Integrale a Bergamo da “La Voce” del 04/06/1916. Pane bianco e pane naturale da “La Voce” del 14/01/1917. Norme per la denuncia di cereali e Cronaca Valligiana di Zogno da “La Voce” del 20/05/1917.
  31. Raccolta di rottami di metallo da “La Voce” del 5/11/1916. Coltiviamo le patate da “La Voce” del 25/03/1917. Consigli per la coltura delle patate da “La Voce” del 08/04/1917. Decalogo del consumo in tempo di guerra da “La Voce” del 22/04/1917. Una pratica proposta per la raccolta dei rottami di metallo da “La Voce” del 4/06/1917. Per la raccolta di rottami metallici da “La Voce” del 17/06/1917. Il razionamento dei cereali obbligatorio dall’undici ottobre p.v. da “La Voce” del 23/09/1917. Rifornimento dell’avena ai privati da “La Voce” del 21/10/1917.
  32. Vedi svariati numeri del bollettino citato “Alta Valle Brembana” per gli anni 1915, 1916, 1917 e 1918 e de “La Voce del Brembo” per gli anni 1915, 1916, 1917.