Una scandalosa e tragica storia d'amore brembana
Edizione promossa dal Comune e dal Museo della Valle di Zogno. Corponove editrice (Bergamo).
La presente ricerca storica illustra una tragica vicenda svoltasi nel 1763 causata dall’interesse amoroso di un giovane sacerdote cappellano abitante a Serina ma originario della diocesi di Sarzana in Liguria, don Matteo Benghi, verso Elisabetta figlia diciottenne di Carlo Ambrosioni capo mastro nelle fucine di Serina.
Benchè inizialmente molto amici, Carlo comincia a sospettare delle vere intenzioni di don Matteo quando lo scopre più volte a cantare la sera sotto le finestre di Elisabetta e una volta addirittura dentro il portico della casa, essendo egli ritornato tardi dal lavoro. Redarguisce allora di persona il sacerdote invitandolo a starsene lontano da casa sua specie di sera, quando lui è ancora assente a causa del lavoro. Gli inviti sono espressi dapprima in modo garbato ma deciso e poi con minacce sempre più gravi, arrivando addirittura a promettergli di rompergli un fucile sulla testa o di dargli addirittura delle schioppettate in quanto don Matteo dimostra di non voler assecondare la volontà del padre di Elisabetta. Carlo fa ammonire don Matteo anche dal parroco di Serina del tempo e da altri personaggi pubblici e influenti del paese senza ottenere alcun risultato poiché don Matteo persiste nel suo comportamento convinto che nessuno gli può impedire il passaggio lungo una strada pubblica.
Una sera di settembre del 1763, scoperto per l’ennesima volta don Matteo presso la casa Ambrosioni a cantare sotto le finestre di Elisabetta, Carlo va su tutte le furie ed innesca un violento alterco con il sacerdote per strada benché il sacerdote neghi di trovarsi lì per Elisabetta. Poichè ogni grave offesa verbale ne richiama automaticamente delle altre in un crescendo senza limiti ad un certo punto Carlo, esasperato, spara un colpo d’archibugio al sacerdote ma il suo sparo fallisce poiché le polveri non prendono fuoco. Allora a sua volta anche don Matteo, che risulta armato, spara mirando e ferendo mortalmente Carlo al basso ventre.
Viene istruito un processo penale e civile a Bergamo con l’interrogatorio, da parte dei ministri della Giustizia laica dell’epoca, di vari testimoni di Serina e di altri paesi della Valle Brembana che si trovavano a Serina in quell’occasione. Tra questi vi sono persone di Cornello dei Tasso, di S. Giovanni Bianco, di Zogno ed anche di Almenno S. Salvatore poiché il vicario di Serina dell’epoca era originario di questo paese. In questi interrogatori vengono illustrate le numerose circostanze e motivazioni ricche di aspetti psicologici ed emotivi che hanno portato a questo gesto estremo. Don Matteo subito dopo l’omicidio rimane nascosto e al sicuro per alcuni mesi nel convento dei Cappuccini di S. Giovanni Bianco ma poi, grazie ad un bando del Capitano di Bergamo e quasi di certo convinto dalle buone parole del vescovo della città, decide di consegnarsi spontaneamente alle forze della Giustizia. Viene allora messo in carcere per alcuni mesi a Bergamo e interrogato a fondo.
Alla fine del processo tuttavia con una certa sorpresa egli viene assolto con la motivazione di aver ucciso per legittima difesa giocata sulle caratteristiche assai particolari di funzionamento dell’antico archibugio e sulla regolamentazione delle conseguenze di questo meccanismo da parte delle leggi venete dell’epoca che oggi appare un poco difficile da comprendere per l’evoluzione tecnologica e culturale che vi è stata nel frattempo.